La paura sale dalle mani e dai piedi. Un formicolio incadescente, come quando con le estremità gelate si entra in una stanza calda.
E' un blocco che parte dallo sterno; si diffonde come acqua in tutto il torace; è una mano a dieci dita che penetra nelle costole. Sembra quasi che il cuore si fermi. Le gambe si fanno rigide, e quando deglutisci ti rendi conto di non aver mai provato tanta fatica nel farlo.
La paura è il silenzio, la paura del silenzio. In una frazione di secondo l'udito sembra essersi incredibilmente potenziato e riesce a percepire anche la foglia che litiga col marciapiede più lontano.
La paura è il buio, la paura nel buio. Gli occhi cercano lo spiraglio di luce, il lucicchìo di un orecchino, il riflesso sullo specchio, il lampione tra le fessure delle persiane. Gli occhi fanno male e non vogliono vedere, ma non osano richiudersi. Perché richiudendosi potrebbero, proprio all'ultimo secondo, percepire quel movimento sospetto che non aspettava che questo momento per manifestarsi.
La paura del bambino: le luci accese, una mano da stringere, le gambe piegate sul divano che nessuna mano possa afferrarle da sotto.
Passerà, lo so. Tornerò la solita sventata di sempre e smetterò di accelerare il passo e di controlare venti volte se la porta è chiusa bene. Smetterò di andare a dormire sperando che arrivi subito il giorno e la luce.
Vorrei che fosse ora e vorrei non essere pesante e paranoica come sono.
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