14 ottobre 2010

14 ottobre 2000

Sabato sera, diciassette anni. 
Una cena con gli amici nella solita pizzeria.
Il primo freddo, il mio cappottino bordeaux abbinato alle All Star dello stesso colore.
Le luci arancioni dei lampioni del centro.
Pioggia, maledetta pioggia che ti increspa i capelli. La mamma che prima di uscire ti ha obbligato a prendere l'ombrello, ti ha impedito di usare il motorino. 
Gli amici, le risate. I cellulari squillano: nessuna suoneria polifonica, ma solo quello che passava il caro vecchio Nokia.
Bisogna tornare a casa, stanno chiudendo le strade. Le cantine sono allagate, la montagna sta crollando. 
Siamo tutti insieme, non ce ne rendiamo conto. La situazione non può essere così tragica, le mamme al telefono sono le solite apprensive. Noi siamo tutti qua, abbiamo mangiato la pizza, stiamo andando verso il pub, la pioggia non rovinerà il nostro sabato sera, quello che abbiamo aspettato per tutta la settimana.
Eppure per strada sembra che non si parli d'altro. Eppure qualche mamma insiste: "Tornate a casa, la Dora è troppo alta, la Dora sta per uscire, la montagna è zuppa, la montagna crolla".
Cominciamo a crederci, comincia la paura.
Anche se la maggior parte di noi non abita nelle zone rosse, tutti hanno un qualcuno a cui pensare. Uno zio, i nonni, l'amica di famiglia, il compagno di banco, il migliore amico di cui sei innamorata che non risponde ai messaggi. 
Ricordo quella notte come fosse ieri, nel letto, il cellulare in mano in attesa di una risposta. "Ho dovuto lasciare casa mia, dormo da mia nonna". O era tua zia? L'ho letto solo la mattina dopo, quando fuori ancora era un inferno di acqua e fango.

Non ho altre parole per ricordare quel giorno e quelli che seguirono. 
Quel banco vuoto in classe, le case distrutte, le strade invisibili sotto la melma, la mia valle piegata. 

2 commenti:

  1. Io di anni ne avevo (quasi, li avrei compiuti di li a qualche giorno) 18. Da me l'ondata di piena arrivò dopo, non ricordo ora il giorno preciso ma credo il 17. Raggiunse quota 2m e 48 centimetri sui muri di casa mia. Tutto distrutto. La notte del 16 lavorammo incessantemente con amici e parenti per salvare il salvabile. Non fu una vera improvvisata perchè mio padre è un uomo di fiume ed aveva capito, quando ancora gli altri non si preoccupavano, che stava per succedere il peggio. Ma fu comunque un dramma. Tornai a casa per natale, ma i muri erano ancora bagnati, i mobili ancora spostati per lasciarli asciugare...

    Siamo comunque stati fortunati, perchè le piene del ticino non sono mai violente, non distruggono, ma invadono, lasciando dietro fango e detriti ma mai macerie. Inoltre la mia famiglia ha avuto la fortuna di potersi rifugiare in una casa di proprietà, arredata e confortevole (quella dove mi trasferirò io con marco), non subendo mai il disagio della condizione di "sfollato".

    Non pensavo fossero passati già 10 anni. Fa impressione pensarci. Ma ancora adesso, in autunno, quando vedo l'acqua crescere ho paura, continuo a chiedere a mio padre se rallenta, aumenta, ecc. Sono esperienze che inevitabilmente segnano, e che può capire solo chi le ha provate sulla propria pelle.

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  2. Io ne avevo diciannove. Ne ho scritto, ne ho cantato, ne ho dipinto.
    La zona rossa era lì, dietro, l'angolo. Non si può dimenticare.
    Quelle persone in preda al panico. Quel rumore. Quel non riuscire a contattare nessuno. Quell'essere davvero, per la prima volta, isolati.

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