Questa è la storia di mio
nonno. Una parte, per lo meno. Quella che ha raccontato, a noi nipoti, fino a
quando la memoria non l'ha tradito e i ricordi e le immagini non si
confondevano.
E' un post lungo (nonostante
io abbia dovuto tagliare praticamente tutto): se non siete intenzionati ad
arrivare alla fine non incominciate neppure.
Le frasi in corsivo sono
state scritte dal nonno, con la sua impeccabile precisione. Il resto è opera di
mio zio: quando il nonno è mancato ha trovato una cassettina di metallo
contenente appunti, fotografie, documenti, cartoline e lettere dai campi di
concentramento. Ha recuperato tutto e ne ha fatto un libro per noi nipoti.
Domani lo porterò a scuola e leggerò ai miei alunni gli appunti del nonno, una
parte, quella che riporto qui sotto. Vorrei che lui fosse ancora qui e che
potesse raccontare con la sua voce, con quel che resta del suo accento
siciliano, quello che raccontava a me. Vorrei vederlo entrare in classe, sotto
lo sguardo curioso di un gruppo di dodicenni, con il suo passo esitante e il
suo sorriso più dolce.
"Sono stato catturato
in combattimento, nei pressi di Savinic, dalle truppe tedesche il 23 Settembre
1943 ed il 9 Ottobre mi ritrovai allo Stalag IX/C di BaldiSulze in
Germania.".
Rifiuta di arruolarsi nel
costituendo esercito della R.S.I. e quindi lo internano.
"Il 12 dello stesso mese fui
avviato al lavoro forzato ad Erfurt, dove insieme con il Maggiore Siriani ci
siamo adoperati perché nessuno dei prigionieri aderisse all’Armata
Graziani.".
Il 18 agosto 1944 tenta
l’ennesima fuga, ma lo riprendono e lo trasferiscono, per punizione, al campo
di concentramento A.K. 1604490 nei presso di Norimberga, dove resta dal 18
agosto 1944 al 18 febbraio 1945. Si rifiuta di sottoscrivere il contratto di
“libero lavoratore” e convince un buon numero di prigionieri ad imitarlo. Trova
la forza di pestare un paio di francesi che avevano insultato un italiano e di
prendersela con i tedeschi per aver malmenato un soldato italiano. Lo mettono
in cella. La permanenza al campo gli costa l’occhio destro. Il 20 febbraio si
dà alla macchia.
"L’idea era di raggiungere i
partigiani italiani. Sono stati venti giorni di marce, fame e freddo, dormire
in case abbandonate o fienili, mangiare cicoria dei prati e bere acqua dei
ruscelli. Mentre cucinavo nella gavetta quattro patate che ero riuscito a
trovare, sono stato circondato da quattro ragazzi, giovanissimi, tredici anni
al massimo, armati di mitra, e portato al posto di polizia criminale di
Villach.
Questa volta sono stato condotto al
campo di concentramento di Dakau.".
Il 28 aprile evade anche da
Dakau.
"[…] Dopo aver percorso alcuni
chilometri mi fermai sfinito ai margini di un ruscello per bere un po’ d’acqua.
Udii delle voci. C’era molta gente, forse deportati ebrei. A terra c’erano
cinque morti. Dopo alcuni minuti vidi arrivare due soldati tedeschi, mi buttai
dietro un albero. Si fermarono a circa 30 metri da me; depositarono a terra gli
zaini ed un mitra ed andarono a fare i loro bisogni. Strisciando veloce arrivai
al mitra e lo caricai. Appena i due tedeschi ricomparvero da dietro una pianta,
dissi loro “Scappate di corsa altrimenti vi ammazzo!”. Scapparono lungo il
sentiero ed io li imitai andando dalla parte opposta, nel bosco. […]
Al mattino ho ripreso la strada e sono
arrivato in un paese di cui non ricordo il nome. Ho visto una bicicletta
appoggiata vicino ad un portone. Mentre la stavo prendendo è arrivato un
signore che mi ha detto “Quella bicicletta è mia!”. “Ora è mia”, ho risposto,
“perché i tuoi soldati mi hanno preso 1000 lire, un orologio, un anello d’oro e
mi hanno fatto lavorare per venti mesi dodici ore al giorno senza darmi un
soldo!”. Se n’è andato. Saltato sulla bicicletta ho preso la strada per
l’Italia.".
Mentre il Sergente Maggiore
Giunta si impossessava della bicicletta, il 30 aprile, Hitler ed alcuni suoi
collaboratori si suicidavano nella cancelleria del Reich. Il 2 maggio 1945,
mentre l’Armata Rossa entrava a Berlino, lui varcava la frontiera. La guerra è
finita, ma il Sergente Maggiore Giunta non lo sa e forse poco gli importa:
vuole solo tornare a casa. Lui, la sua guerra, l’ha già vinta. Non è più un
prigioniero, non è più un numero: è tornato ad essere un Alpino. Pesta sui pedali
e va.
"Quando arrivai al primo paese
italiano e vidi sventolare la bandiera, mi avvicinai ed istintivamente mi misi
sull’attenti. Per la prima volta le lacrime solcarono il mio viso. La
commozione, la gioia di sentirmi finalmente libero e di essere tornato un
essere umano, mi giocarono un brutto scherzo e caddi a terra svenuto. Quando
rinvenni ed aprii gli occhi mi trovai tra le braccia di due anziani, un uomo e
una donna, che mi avevano tirato su e che mi diedero ospitalità per la notte.
La mattina, dopo averli ringraziati, ripresi il cammino.".
Il suo racconto diventa una
banale elencazione di tappe senza importanza, un puro dovere di cronaca.
L’Alpino e la sua bicicletta divorano la strada. I giorni sembrano volare.
Vipiteno, Bolzano, Trento, Riva del Garda, Peschiera, Brescia, Milano, Ivrea.
Il 9 maggio arriva in Valle d’Aosta.
"All’ingresso di Aosta,
precisamente all’altezza del Ponte Romano, si è sgonfiata una ruota e ho dovuto
arrivare a casa a piedi.
Avevo 28 anni quando rientrai ad Aosta,
dopo aver percorso mille chilometri, prima a piedi e poi in bicicletta.".
In Piazza Roncas
lo vede il suocero Anselmo. E’ quasi irriconoscibile, sporco, lacero, magro,
con la barba lunga. “Madonna Giulio, sembri Gesù Cristo!”, gli dice. Per Iva
era un giorno come un altro, le solite cose, l’ufficio. Una collega arriva
trafelata e le dice “Iva, è arrivato tuo marito!”. Non ci crede, ma la collega
insiste. Corre in strada, lo vede. Ora il Sergente Maggiore Giunta è veramente
a casa.
"Due giorni dopo il mio rientro,
caddi malato, Il medico disse che ero affetto da tifo e fui ricoverato in
gravissime condizioni all’ospedale di Aosta. Mi mandarono un sacerdote per
impartirmi la benedizione per la morte. Ero anche completamente cieco. Mia
moglie rintracciò un vecchio medico che aveva fatto esperienza durante la prima
guerra mondiale che mi diagnosticò tifo petecchiale. Il vecchio dottore mi fece
molte punture alla testa per sciogliere il sangue che mi aveva coperto la vista.
Così ritornai a vedere dall’occhio sinistro; per il destro niente da fare.
Rimasi in ospedale circa un mese. L’unità sanitaria vietò a mia moglie di
venirmi a vedere, ma lei, nelle ore notturne, veniva a trovarmi per portarmi
qualcosa da mangiare.".
Il 30 giugno 1945 è di nuovo
in perfetta forma e si presenta al Distretto militare di Ivrea, pronto a
prendere servizio.
Qui si conclude
l’incredibile storia del Sergente Maggiore Giunta Giulio. Della sua incredibile
avventura gli resta una borraccia, una Croce al merito di Guerra, il distintivo
d’onore per i patrioti Volontari della Libertà e soprattutto la bicicletta,
dalla quale non si separerà mai.
Wow che bello!
RispondiEliminaPotresti scriverci un libro lo sai?
grazie per questa incredibile testimonianza :)
RispondiEliminaQuello che ha fatto tuo zio è un monumento.
RispondiEliminaLa raccolta dei documenti, dei fogli e degli scritti di tuo nonno da "passare" ai nipoti e da tramandarlo in famiglia è il regalo più grande e più bello che vi abbia potuto fare.
Spesso mi incanto ad ascoltare i racconti di mia mamma, ciò che rimane nella sua memoria delle storie di suo papà, delle zie e degli altri "vecchi" che ormai non ci sono quasi più. Mi sforzo di ricordarli anche io ma purtroppo con scarsi risultati.
Bisogna tramandarle tutte queste cose (fai benissimo tu a leggerle ai tuoi alunni): solo ricordando nel tempo quegli orrori si concede una -piccola- rivincita a tanto dolore e sofferenza.
questa storia fa venire i brividi.....
RispondiEliminagrazie per averla postata
grazie davvero ari...è una testimonianza incredibile.sono sicura che i tuoi alunni ne rimarranno sicuramente colpiti e spero che la prendano come spunto di riflessione!
RispondiEliminaGrazie
RispondiEliminaSì, l'unico commento che si può fare è "Grazie per averlo condiviso con noi"...
RispondiEliminaE' una testimonianza estremamente toccante e commovente....non resta che dirti Grazie per averla condivisa con noi
RispondiEliminaGrazie a voi, mio nonno sarebbe stato felicissimo di avervi come ascoltatori.
RispondiEliminaCome avrete capito era un uomo forte e tenace, ma anche il più dolce che abbia mai conosciuto.