26 gennaio 2011

Era mio nonno.

Questa è la storia di mio nonno. Una parte, per lo meno. Quella che ha raccontato, a noi nipoti, fino a quando la memoria non l'ha tradito e i ricordi e le immagini non si confondevano. 
E' un post lungo (nonostante io abbia dovuto tagliare praticamente tutto): se non siete intenzionati ad arrivare alla fine non incominciate neppure.
Le frasi in corsivo sono state scritte dal nonno, con la sua impeccabile precisione. Il resto è opera di mio zio: quando il nonno è mancato ha trovato una cassettina di metallo contenente appunti, fotografie, documenti, cartoline e lettere dai campi di concentramento. Ha recuperato tutto e ne ha fatto un libro per noi nipoti. Domani lo porterò a scuola e leggerò ai miei alunni gli appunti del nonno, una parte, quella che riporto qui sotto. Vorrei che lui fosse ancora qui e che potesse raccontare con la sua voce, con quel che resta del suo accento siciliano, quello che raccontava a me. Vorrei vederlo entrare in classe, sotto lo sguardo curioso di un gruppo di dodicenni, con il suo passo esitante e il suo sorriso più dolce.

"Sono stato catturato in combattimento, nei pressi di Savinic, dalle truppe tedesche il 23 Settembre 1943 ed il 9 Ottobre mi ritrovai allo Stalag IX/C di BaldiSulze in Germania.".

Rifiuta di arruolarsi nel costituendo esercito della R.S.I. e quindi lo internano.

"Il 12 dello stesso mese fui avviato al lavoro forzato ad Erfurt, dove insieme con il Maggiore Siriani ci siamo adoperati perché nessuno dei prigionieri aderisse all’Armata Graziani.".

Il 18 agosto 1944 tenta l’ennesima fuga, ma lo riprendono e lo trasferiscono, per punizione, al campo di concentramento A.K. 1604490 nei presso di Norimberga, dove resta dal 18 agosto 1944 al 18 febbraio 1945. Si rifiuta di sottoscrivere il contratto di “libero lavoratore” e convince un buon numero di prigionieri ad imitarlo. Trova la forza di pestare un paio di francesi che avevano insultato un italiano e di prendersela con i tedeschi per aver malmenato un soldato italiano. Lo mettono in cella. La permanenza al campo gli costa l’occhio destro. Il 20 febbraio si dà alla macchia.

"L’idea era di raggiungere i partigiani italiani. Sono stati venti giorni di marce, fame e freddo, dormire in case abbandonate o fienili, mangiare cicoria dei prati e bere acqua dei ruscelli. Mentre cucinavo nella gavetta quattro patate che ero riuscito a trovare, sono stato circondato da quattro ragazzi, giovanissimi, tredici anni al massimo, armati di mitra, e portato al posto di polizia  criminale di Villach.
Questa volta sono stato condotto al campo di concentramento di Dakau.".

Il 28 aprile evade anche da Dakau.

"[…] Dopo aver percorso alcuni chilometri mi fermai sfinito ai margini di un ruscello per bere un po’ d’acqua. Udii delle voci. C’era molta gente, forse deportati ebrei. A terra c’erano cinque morti. Dopo alcuni minuti vidi arrivare due soldati tedeschi, mi buttai dietro un albero. Si fermarono a circa 30 metri da me; depositarono a terra gli zaini ed un mitra ed andarono a fare i loro bisogni. Strisciando veloce arrivai al mitra e lo caricai. Appena i due tedeschi ricomparvero da dietro una pianta, dissi loro “Scappate di corsa altrimenti vi ammazzo!”. Scapparono lungo il sentiero ed io li imitai andando dalla parte opposta, nel bosco.  […]
Al mattino ho ripreso la strada e sono arrivato in un paese di cui non ricordo il nome. Ho visto una bicicletta appoggiata vicino ad un portone. Mentre la stavo prendendo è arrivato un signore che mi ha detto “Quella bicicletta è mia!”. “Ora è mia”, ho risposto, “perché i tuoi soldati mi hanno preso 1000 lire, un orologio, un anello d’oro e mi hanno fatto lavorare per venti mesi dodici ore al giorno senza darmi un soldo!”. Se n’è andato. Saltato sulla bicicletta ho preso la strada per l’Italia.".

Mentre il Sergente Maggiore Giunta si impossessava della bicicletta, il 30 aprile, Hitler ed alcuni suoi collaboratori si suicidavano nella cancelleria del Reich. Il 2 maggio 1945, mentre l’Armata Rossa entrava a Berlino, lui varcava la frontiera. La guerra è finita, ma il Sergente Maggiore Giunta non lo sa e forse poco gli importa: vuole solo tornare a casa. Lui, la sua guerra, l’ha già vinta. Non è più un prigioniero, non è più un numero: è tornato ad essere un Alpino. Pesta sui pedali e va.

"Quando arrivai al primo paese italiano e vidi sventolare la bandiera, mi avvicinai ed istintivamente mi misi sull’attenti. Per la prima volta le lacrime solcarono il mio viso. La commozione, la gioia di sentirmi finalmente libero e di essere tornato un essere umano, mi giocarono un brutto scherzo e caddi a terra svenuto. Quando rinvenni ed aprii gli occhi mi trovai tra le braccia di due anziani, un uomo e una donna, che mi avevano tirato su e che mi diedero ospitalità per la notte. La mattina, dopo averli ringraziati, ripresi il cammino.".

Il suo racconto diventa una banale elencazione di tappe senza importanza, un puro dovere di cronaca. L’Alpino e la sua bicicletta divorano la strada. I giorni sembrano volare. Vipiteno, Bolzano, Trento, Riva del Garda, Peschiera, Brescia, Milano, Ivrea. Il 9 maggio arriva in Valle d’Aosta.

"All’ingresso di Aosta, precisamente all’altezza del Ponte Romano, si è sgonfiata una ruota e ho dovuto arrivare a casa a piedi.
Avevo 28 anni quando rientrai ad Aosta, dopo aver percorso mille chilometri, prima a piedi e poi in bicicletta.".

In Piazza Roncas lo vede il suocero Anselmo. E’ quasi irriconoscibile, sporco, lacero, magro, con la barba lunga. “Madonna Giulio, sembri Gesù Cristo!”, gli dice. Per Iva era un giorno come un altro, le solite cose, l’ufficio. Una collega arriva trafelata e le dice “Iva, è arrivato tuo marito!”. Non ci crede, ma la collega insiste. Corre in strada, lo vede. Ora il Sergente Maggiore Giunta è veramente a casa.

"Due giorni dopo il mio rientro, caddi malato, Il medico disse che ero affetto da tifo e fui ricoverato in gravissime condizioni all’ospedale di Aosta. Mi mandarono un sacerdote per impartirmi la benedizione per la morte. Ero anche completamente cieco. Mia moglie rintracciò un vecchio medico che aveva fatto esperienza durante la prima guerra mondiale che mi diagnosticò tifo petecchiale. Il vecchio dottore mi fece molte punture alla testa per sciogliere il sangue che mi aveva coperto la vista. Così ritornai a vedere dall’occhio sinistro; per il destro niente da fare. Rimasi in ospedale circa un mese. L’unità sanitaria vietò a mia moglie di venirmi a vedere, ma lei, nelle ore notturne, veniva a trovarmi per portarmi qualcosa da mangiare.".

Il 30 giugno 1945 è di nuovo in perfetta forma e si presenta al Distretto militare di Ivrea, pronto a prendere servizio.
Qui si conclude l’incredibile storia del Sergente Maggiore Giunta Giulio. Della sua incredibile avventura gli resta una borraccia, una Croce al merito di Guerra, il distintivo d’onore per i patrioti Volontari della Libertà e soprattutto la bicicletta, dalla quale non si separerà mai.

9 commenti:

  1. Wow che bello!
    Potresti scriverci un libro lo sai?

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  2. grazie per questa incredibile testimonianza :)

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  3. Quello che ha fatto tuo zio è un monumento.
    La raccolta dei documenti, dei fogli e degli scritti di tuo nonno da "passare" ai nipoti e da tramandarlo in famiglia è il regalo più grande e più bello che vi abbia potuto fare.
    Spesso mi incanto ad ascoltare i racconti di mia mamma, ciò che rimane nella sua memoria delle storie di suo papà, delle zie e degli altri "vecchi" che ormai non ci sono quasi più. Mi sforzo di ricordarli anche io ma purtroppo con scarsi risultati.
    Bisogna tramandarle tutte queste cose (fai benissimo tu a leggerle ai tuoi alunni): solo ricordando nel tempo quegli orrori si concede una -piccola- rivincita a tanto dolore e sofferenza.

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  4. questa storia fa venire i brividi.....

    grazie per averla postata

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  5. grazie davvero ari...è una testimonianza incredibile.sono sicura che i tuoi alunni ne rimarranno sicuramente colpiti e spero che la prendano come spunto di riflessione!

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  6. Sì, l'unico commento che si può fare è "Grazie per averlo condiviso con noi"...

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  7. E' una testimonianza estremamente toccante e commovente....non resta che dirti Grazie per averla condivisa con noi

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  8. Grazie a voi, mio nonno sarebbe stato felicissimo di avervi come ascoltatori.
    Come avrete capito era un uomo forte e tenace, ma anche il più dolce che abbia mai conosciuto.

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