"Le tue parole fanno male,
sono pungenti come spine,
sono taglienti come lame affilate
e messe in bocca alle bambine,
possono far male, possono ferire, farmi ragionare sì.
ma non capire, non capire.
Le tue ragioni fanno male,
come sei brava tu a colpire!
Quante parole sai trovare, mentre io non so che dire..."
Già, mentre io non so che dire.
Forse perché prima di parlare cerco di immaginare l'effetto delle parole che dirò.
Forse perché il mio lavoro mi ha insegnato a pesare, selezionare, sceglierle, le parole.
Forse perché so che uno stesso concetto può essere espresso in tanti modi diversi, a seconda delle situazioni, delle persone, dei sentimenti in gioco.
E quindi io non so che dire.
Perché rischierei di sembrare insensibile, cattiva, ingrata, vendicativa, permalosa, esagerata, gelosa, acida, fuori luogo, inadeguata.
E non voglio neanche costringermi a dire il contrario di tutto quello che penso realmente, perché allora l'unica parola per definirmi sarebbe "bugiarda".
Potrei sopportarlo, se davvero fossi tutte queste cose, ma non è così.
E allora quante parole sai trovare, mentre io non so che dire.
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21 settembre 2012
8 giugno 2012
Trovare un senso all'inutilità.
L'anno scorso siamo stati a Londra a capodanno.
(Con attacco di emicrania con aura alle 23.10 del 31 in mezzo a Trafalgar Square, yeah!)
Poi a marzo abbiamo avuto l'occasione di andare con mio papà, sua moglie, mio fratello e mia cognata a Istanbul. Erano anni che non andavo in vacanza con (parte della) mia famiglia.
Per concludere a luglio c'è stato il viaggio di nozze e non c'è molto da dire. Facce dubbiose e una sola domanda:
"Ma perché non andate alle Maldive come tutti?"
Perché l'Islanda è, secondo me, come dovrebbe essere il paradiso. Non sono mai stata cosi felice in nessun altro posto al mondo.
Quest'anno niente soldi, ergo niente viaggi. Mi dispiace, ovvio, ma forse è meglio così.
Sono stanca, fisicamente e mentalmente.
Sono stanca di studiare per quei pochi esami che mi mancano per avere finalmente il titolo abilitante. Sono stanca di non sapere cosa ci sarà dopo tutto questo sbatti: dovrò aspettare altri seimila anni per provare ad accedere al tfa? Passerò mai quella maledetta preselezione?
Sono stanca dell'ambiente pesante a scuola, di dover discutere, di dovermi difendere, di dover dimostrare. Ho sempre fatto il mio lavoro e non ho mai rotto i coglioni a nessuno, ma se a scuola non insegni da 30 anni per i colleghi sei solo la giovane precaria che ha manie di grandezze, che non capisce le dinamiche. Le possibilità che il prossimo anno io ritorni in quella scuola sono pari a zero. Sarò scorretta, ma spero che arrivi qualcuno di davvero incompetente e incapace che faccia pensare a qualcuno "Forse alla fine Arianna non era così male".
Sono stanca di persone che cambiano, delusioni, amicizie che finiscono. Sono stanca di dover sembrare io quella strana, mediocre, banale solo perché il mio sogno continua ad essere la famiglia del Mulino bianco. Io voglio una vita normale: una casa, un marito, un figlio. Se a 29 anni per qualcuno è "triste" o "da pazzi", amen. Nessuno vi ha chiesto la benedizione. Per fortuna però qualcuno capisce, qualcuno condivide, qualcuno non condivide, ma mi vuole bene e mi rispetta comunque.
Quindi niente, l'unica cosa che vorrei per quest'estate è stare con mio marito, fare qualche passeggiata in montagna, non dovermi circondare di persone false e negative.
E stare con mio marito. Tanto tanto tempo insieme, soli io e lui, tutti puccipucci e ciccipù (che poi non è vero perché dopo cinque minuti di puccipucci ci rompiamo le palle e ciao solecuoreamore, torniamo i soliti cretini).
L'ho già detto stare con mio marito? Che lo amo mille ♥
1 giugno 2012
Don't let them have their way, you're beautiful and so blasé
Avere 17 anni è fondamentalmente una figata.
E se ti sono piaciuti così tanto puoi continuare ad avere 17 anni ancora per un po'.
Tipo fino a 21. Magari 23. Dai, 24.
Ma se a 29, o a 33 (cioè!!) continui ad avere 17 anni c'è qualcosa che non va.
So che la cosa a qualcuno potrebbe risultare sconvolgente, ma oltre a non sapere cosa metterti per uscire la sera, comprare vestiti e scarpe e a uscire la sera, c'è tutto un mondo oltre quella sottile soglia, un mondo a cui in genere noi tristi e noiosi 27enni, 29enni, 31enni diamo il nome di, tadadadan, Responsabilità.
Fa paura, è uno schifo: ci sono le bollette, il bucato, la spesa, la cassetta del gatto da pulire, il pranzo da preparare ogni santo giorno che oggi che minchia mi invento, il lavoro e quando tutto ti sembra finito...tutto ricomincia, senza passare dal via.
E allora forse è meglio continuare ad avere 17 anni tutta la vita, giocando, a spese degli altri, ad avere 30 anni.
Alla fine però, dopo il primo smarrimento iniziale, c'è una cosa che capisci sulle responsabilità.
Ad ogni mal di pancia, ad ogni notte insonne, ad ogni pianto a denti stretti corrisponde una soddisfazione. Piccola, insignificante, grande, immensa.
Ed è solo tua, sudata sofferta agoniata. Solo tua.
E lo so che per te la mia soddisfazione non vale niente, perché hai 30 anni ma in realtà ne hai 17.
Un po' mi spiace, davvero.
Forse un giorno capirai.
(Tra parentesi: avere 17 anni è una figata.
No, davvero. Per me è stata una figata. L'anno più bello del liceo, uno degli anni più belli della mia vita.
Un mix di sensazioni bellissime quali: il primo fidanzato, poter stare fuori fino a tardi la sera, cantare in motorino ferma al semaforo, suonare il basso nelle Turbata capillos, band tutta al femminile che ha avuto tipo 5 giorni di vita, una festa di classe memorabile, canzoni canzoni mille canzoni, i pomeriggi passati al sole simulando uno studio matto e disperatissimo, il campeggio, la vodka e il tavolo appiccicoso del pub.
Un mix di sensazioni di merda quali: il primo fidanzato, le litigate con madreh perché sei rimasta fuori fino a tardi la sera, i compiti di matematica e le versioni di latino. E le interrogazioni di fisica, Gesù le interrogazioni di fisica. E tutte le risposte che vorresti avere. E qualcuna ce l'hai ma non era Quella, e allora piangi stai male t'incazzi. Le amiche non capiscono un cazzo, tua madre non capisce un cazzo, pure tu però non hai le idee poi così chiare. Poi c'è il problema di come vestirsi: tutto troppo lungo, troppo corto, troppo scollato, troppo costoso, troppo poco adatto a te. Sono problemi.
Sono gli unici problemi.).
9 aprile 2012
Riesci a scorgerti?
E poi c'è quel posto dove vanno a finire le storie d'amore che non hai vissuto.
Banalmente, il cassetto della scrivania nella tua camera a casa dei tuoi.
Una scatola, nascosta dietro l'orsetto che ti ha regalato la tua vicina di banco in seconda media.
I sogni, di quelle notti in cui sei più stanca e il sonno è più profondo.
Ci sono le frasi lasciate in sospeso, lettere di risposta a lettere che hai scritto. Che stanno in un altro cassetto, in un'altra casa. O forse, semplicemente, non esistono più.
Ci sono gli sguardi carichi di messaggi ai quali, col senno di poi, sapresti dare un senso.
Ci sono quei momenti in cui andava presa una decisione, quell'interminabile istante in cui la tua vita ti sembra legata esclusivamente al suono della voce della persona che hai di fronte sulla porta di casa in un pomeriggio di giugno. Quando tutto era ancora possibile.
Poi il suono sbagliato, la porta chiusa. Tante altre lettere, tanti altri sguardi e interminabili istanti.
"Se..." non lo dici neanche più.
C'è un posto, da qualche parte, in cui la tua vita è andata avanti senza di te.
In cui le sere trascorse sul letto ad ascoltare musica con accanto qualcuno non si sono interrotte bruscamente; tornato a casa la sera lui ti manda ancora messaggi in un greco sgrammaticato e buffo per dirti che ti ama.
In cui l'estate l'hai trascorsa con qualcuno al mare, senza preoccuparti di chi ti aspettava a casa, perché a casa non c'è davvero nessuno ad aspettarti. E allora hai dato tanti baci e hai fatto anche l'amore.
In cui il suono della voce di quella persona che hai di fronte sulla porta di casa un pomeriggio di giugno è quello che speravi e la porta si chiude, ma lui entra in casa con te, ti scrive delle lettere, non smette di guardarti.
Non so se è normale avere un posto dove vanno a finire le storie d'amore che non hai vissuto, o se ce l'ho solo io.
4 maggio 2011
Nemiche amiche.
Qualche giorno fa ero al bar con un amico. Seduti nel déhors, i nostri pettegolezzi sono stati interrotti dall'arrivo di una donna.
Trentacinque-quarant'anni, di bell'aspetto, vestita semi-sportiva (odio: o ti vesti sportiva o no, le vie di mezzo sono sempre degli ibridi poco piacevoli). Aveva pantaloni della tuta e t-shirt tutta glitterata, paillettata, sberluccicosa. Occhialoni scuri che le coprivano metà faccia, era accompagnata da un uomo.
Trentacinque-quarant'anni, da lontano di aspetto interessante, da vicino anche no. Capello semi-lungo, boccoluto, sale e pepe. Mocassino senza calze. Sguardo ebete.
Lei è entrata con passo spedito, brandendo nella mano destra un telefono cellulare formato gigamega. Lo teneva vicino all'orecchio. Vicino, non attaccato: la distanza tra telefono e orecchio variava tra i cinque e i dieci centimetri.
Lui dietro, l'ha seguita fino a quando lei non ha scelto la sdraio giusta sulla quale sedersi (il déhors di questo locale è molto ben attrezzato). Lui si è alzato di scatto quando è arrivato il cameriere e lei con un cenno del viso, senza smettere di parlare, gli ha fatto capire di muoversi.
Lei non ha smesso un secondo di parlare al cellulare. Mi correggo, di urlare.
Un po' si: io facevo finta di ascoltare il mio amico (tra l'altro molto bene, perché lui non se n'è accorto e speriamo non mi legga) e ascoltavo lei. Un po' però era anche impossibile ignorarla: il tono di voce era altissimo e lei molto presa dalla conversazione. Talmente presa che è riuscita anche a mettersi comoda: si è tolta le scarpe, le calze, si è tirata su i pantaloni della tuta al ginocchio, ha tirato fuori dalla firmatissima borsa la Nivea e si è spalmata in tutti luoghi e in tutti i laghi.Lui impassibile.
Lei stava consolando un'amica la quale, da quello che ho potuto capire, doveva avere qualche problema di autostima a causa delle critiche del (ex?) fidanzato. Lei ha cercato di rincuorarla dicendole che "No, non è vero che non sai far altro che lamentarti. Sei una persona positiva, hai una buona parola per tutti... No, devi fregartene di quello che dice lui, non è vero che la gente ti evita, che cerca di frequentarti il meno possibile. Non buttarti giù per queste cattiverie infondate. Lo sai, la gente può essere davvero cattiva".
Pausa di qualche minuto, poi continua.
"No, dopo non posso venire. Devo andare in un posto".
Pausa.
"No, guarda... Non te lo posso dire...".
Pausa.
"Non te lo posso dire perché si tratta di una cosa importante, che potrebbe cambiare molte cose e... e...
e tu porti sfiga".
28 gennaio 2011
Vuoi mettermi una scopa in ....
Collega [generalmente acida e poco propensa al saluto]: "Tu hai già fatto quel lavoro noioso...?" [trattasi di scrivere dei documenti al pc. Un po' lungo e in effetti noioso ma nulla che richieda come prerequisito una laurea in ingegneria aerospaziale].
Arianna: "Si! L'ho appena consegnato."
C: "Ah, perché io non so neanche da che parte cominciare...Mi faresti vedere?".
A: "Certo. Andiamo al computer".
Io rimango in piedi, aspetto che lei si sieda davanti al monitor, nel frattempo infilo la chiavetta, apro il file. Lei rimane in piedi accanto a me.
A: "Ecco, guarda, devi modificare questo e questo, a seconda dell'alunno e della classe, e questo in base alle materie e agli interventi dei tuoi colleghi.".
C: "Cavolo, è un lavoro lungo, ci metterò una vita!".
A: "Io ci ho passato la domenica pomeriggio...".
Poi, guardando la sedia vuota come se fosse un trono sul quale mi stava eleggendo sovrana del computer e della sala insegnanti, pronuncia le fatidiche parole: "Ah, ok. Me lo fai tu?".
Muahahahahaahahah.
E chi sono io, la figlia della serva? La numero uno nella top ten delle cretine? Nostra Regina dei Piedi In Testa? Medaglia d'oro di Prese nel Culo? Seeeeeee...contaci.
29 novembre 2010
Della sala insegnanti.
Oggi sono uscita da scuola imbufalita come raramente mi capita.
No, non è stato a causa di alunni asini e indisciplinati, anzi. Oggi è stata una giornata scolasticamente piacevole, anche in 1 A dove in genere entro armata di napalm con l’intento di non lasciare superstiti.
Oggi è colpa di una collega. Di lei ho già parlato precedentemente. Madame infatti soffre di perdite di memoria: dopo diversi mesi dall’inizio della scuola e svariati “Arianna, sono la collega di lettere della A” ho le prove che non è un cacchio vero che repetita iuvant.
Anche se credo che la questione non si limiti a qualche episodio di demenza senile. Madame fondamentalmente è una stronza maleducata.
Purtroppo ci incrociamo spesso: il nostro orario è molto simile, quindi ci ritroviamo quasi tutti i giorni in sala insegnanti in compagnia l’una dell’altra e di altri colleghi. L’indifferenza iniziale mi è sembrata naturale. Sono l’ultima arrivata, non siamo neanche nello stesso corso, non abbiamo la stessa età e credo neanche gli stessi interessi. Tuttavia durante quei quarti d’ora di convivenza forzata si cerca quasi sempre di evitare il silenzio, si prova a fare due chiacchiere. Macché: il fotocopiatore attira più attenzioni di me. Ne sono consapevole, non sono una fonte inesauribile di discorsi interessantissimi e indispensabili per l’umanità, ma credo comunque di avere qualcosa da dire anche io, essendo dotata di cervello funzionante e al momento giusto anche di una discreta parlantina. Sicuramente più del fotocopiatore.
Ma alla fine va bene, questo lo posso accettare: non si può piacere a tutti, diomenescampi. Io non sopporto il 90% del genere umano per cui sono l’ultima che può parlare. Però credo che ci sia un limite, neanche troppo sottile, tra l’indifferenza civile e la maleducazione.
Madame sta organizzando un pranzo nella sua casa in montagna. Da una settimana a questa parte sta invitando i colleghi. Tutti. Tranne me, ovviamente. Pazienza, me ne farò una ragione. Ma immaginate di essere in una stanza voi, Madame e altri tre colleghi.
M - “Allora, l’11 ci siete a pranzo a casa mia?”
Io ovviamente, taccio. Capisco che l’invito non è rivolto a me.
M - “Tu, S. ci sei? Venite tutti su da me, magari faccio la polenta. E tu, M?...F., aspetta prima di scappare in classe, tu ci sei a pranzo da me?...”
Finito il giro sarebbe il mio turno. Alcuni colleghi mi guardano, lei tace, cala il silenzio. Lei non se ne accorge o finge di non.
Questa scena si ripete da una settimana circa, con alcune simpatiche varianti.
In una di queste c’è Steve, il mio collega (uno dei pochi che inviterei se io decidessi di organizzare un pranzo a casa mia), che mi chiede come procedono i preparativi per il matrimonio. Lei ovviamente si intromette: perché se è brava ad escluderti è ancora più brava ad auto includersi. Dice che non sapeva mi sposassi. Capisce, da quello che diciamo io e Steve, che il mio futuro sposo è qualcuno che conosce anche lei.
M – “Ah, ti sposi con Luca G.?”
A – “Si!”
In genere, in queste occasioni, Madreh mi ha insegnato che si usa dire qualcosa tipo “Auguri” o “Congratulazioni”. Pura formalità, certo. Ma credo sia comunque meglio di un silenzio indifferente. Per altro lei e Luca sono colleghi di corso: se lui aveva qualche possibilità di essere invitato al famoso pranzo (pare che con lui parli e sia anche molto gentile) temo se la sia giocata con questa notizia inaspettata. Forse è perché questo che non ha detto nulla: stava cercando di ricordare se lo aveva già invitato e come fare per rimangiarsi il tutto.
Altra variante frequente è quella che vede lei invitare sempre il collega che mi è di fronte…parlandogli in francese. Ora, va bene che io insegno lettere e non francese, va bene che non sai che sono laureata in lingue, ma di sicuro non ti è sfuggito che la Valle d’Aosta è una regione bilingue, studiamo francese dall’asilo e che ho sostenuto una parte degli esami di maturità in francese. Insomma, davvero credi che io non capisca? È un insulto alla mia intelligenza e tu sei una stronza di prima categoria, perché non ti costa nulla alzarti in piedi e fare i tuoi cazzi di inviti in modo più riservato.
Io ci ho provato a non scendere al suo livello, ad essere sempre educata e gentile. La scorsa settimana le ho proposto il mio posto vicino alla finestra dove batteva il sole perché lei aveva freddo. La settimana ancora prima, quando dopo un’ora buca in cui era andata a farsi visitare una mano in ospedale è tornata ingessata, mi sono offerta di riaccompagnarla a casa in macchina, visto che non poteva guidare. Oggi è entrata in sala insegnanti dove c’eravamo solo io e il collega di musica e, essendo di buon umore, l’ho accolta con un sorridente “Ciao!” a cui lei ha risposto guardando oltre e dicendo “Ciao Salvatore!”. A meno che ancora non abbia capito che mi chiamo Arianna e non Salvatore, credo proprio che mi abbia amabilmente ignorata.
E allora amen. Se sentite dire in giro che sono una gran maleducata sappiate che è vero. Io da oggi non la saluto più neanche se mi cade su un piede o mi rotola addosso per le scale.
Ecchecazzo. Evaffanculo anche.
22 novembre 2010
Considerazioni varie, parte II
✔ Nonostante gli innumerevoli difetti di Trenitalia, io amo prendere il treno. I motivi sono svariati, ma ce n’è uno in particolare. Tanti anni fa, durante una gita, un mio compagno di classe mi disse che gli piaceva, nei giorni di sole, quando il treno passa vicino ai filari di alberi. Se ne trovano spesso lungo la ferrovia, nelle zone che attraverso durante i miei viaggi. La luce si fa intermittente a causa dei raggi che filtrano tra i rami, gli occhi quasi automaticamente si chiudono a causa del fastidio…che non è un fastidio. Il rumore delle rotaie fa da sottofondo musicale. Quei pochi secondi in cui il treno passa accanto agli alberi, si entra in un’altra dimensione, non c’è più qui, non c’è più ora. Mi siedo accanto al finestrino soprattutto per questo e non permetto a nessuno di tirare la putrida tendina. Adoro queste cose. E il fatto che fossi innamorata del mio compagno di classe rese tutto molto più romantico. Ancora oggi, a distanza di anni, ogni volta mi si ferma il cuore. Quei pochi secondi valgono la pena del viaggio, sempre.
✔ In Piazza Castello spostano le panchine mensilmente. Ogni volta che vado a prendermi la focaccia ligure, esco e non so dove sedermi. Questa volta ho optato per un cordolo spartitraffico (? –si chiamerà poi così?). Una volta sul treno, mi sono tolta la giacca e ho capito che un piccione doveva aver avuto la stessa idea poco prima, utilizzando però il cordolo non come panchina ma come cesso.
✔ Apprendo dal “Leggo” o “Metro” che William e Kate hanno deciso di non strafare per il loro matrimonio. Spenderanno solo 58 milioni di euro. Bravi, considerato che sarà la solita cagata di matrimonio con la carrozza, i cavalli, le tazze e il francobollo, proprio bravi. Se avanzassero qualche spicciolo e volessero fare un favore a un’altra coppia di giovani sposi, io e Luca avremmo un unico grande desiderio per il matrimonio: che i Sigur Ros venissero a suonare durante la cerimonia e la cena e Bregovic per il resto della serata. Molto poco regale, lo so. Pazienza, ci accontenteremo di un ipod. Ecco, magari non in riproduzione casuale.
Considerazioni varie, parte I
Alcune considerazioni maturate durante la mia giornata torinese:
✔ Quelli della Nespresso non stanno per niente bene. Per comprare del caffè devo prendere un numerino per accedere ad una delle seimilaecinquecento casse (mica come quello del macellaio stampato su carta igienica: questo è tipo un tesserino magnetico laccato oro) e controllare a quale cassa il tuo numerino è abbinato…su uno schermo ultrapiatto HD (che pagherei per poterci giocare a Guitar Hero). Quando tocca a me mi chiedono “Signora, è la prima volta che viene in boutique?”. Mi sono dovuta trattenere… Boutique? Ragazzi…vendete caffè, datevi una ridimensionata!
E poi tu, commessa fresca di parrucchiera, con la camicetta color crema e la giacchina nera molto bon ton, con la targhetta col nome seguito da una sfilza di incomprensibili mansioni scritte rigorosamente in inglese, che parli come se avessi una molletta al naso e sei convinta che se George Clooney passasse di qui ti darebbe una bella ripassata…quell’elastico per i capelli di spugna, comprato insieme ad altri 49 nella confezione convenienza al negozio cinese tuttoa1euro che porti al polso, smonta tutto quello che hai sapientemente costruito questa mattina davanti allo specchio e ti rende una comune mortale tanto quanto me. Fly down.
✔ La riproduzione casuale del mio ipod: non è casuale. Lei, la riproduzione casuale, si fissa con alcuni cantanti e non li molla. Di tutta la mia vasta libreria l’altro giorno esigeva che io ascoltassi: la compilation da me creata “Canzoni d’amore”, Cartoni animati, The Cranberries, Damien Rice, Guccini, Justin Timberlake, Louise Attaque, Lucio Battisti, Madonna,The Police. Particolarmente insistente Madonna. Sembrava farlo per dispetto: se io passavo oltre, Lei mi dava una canzone di respiro e poi di nuovo Madonna. Ma uno può avere il diritto di non voler ascoltare La Isla Bonita mentre cammina per Torino?
✔ Sempre Lei, la riproduzione casuale, mi ha proposto “Non è Francesca”. L’ho sempre canticchiata senza rifletterci troppo su….l’altro giorno però mi ci sono soffermata. Lucio ribadisce, per tutta una serie di motivi, che Quella non poteva essere in alcun modo Francesca. Ma perché?
⤝Perché Lei è sempre a casa che aspetta me. Ma perché, è agli arresti domiciliari?
⤝Perché Se c’era un uomo poi, no non po’ essere lei. Solo compagnie femminili, lei. Un fratello, un cugino, un amico, un passante che le chiede indicazioni non sono contemplati?
Che stronzo.
To be continued...
19 maggio 2009
Mah...

"Protagonisti di questa nuova docu-fiction italiana in prima assoluta su FoxLife sono famiglie separate o divorziate, in particolare i figli. Figli che vanno a passare qualche giorno dal genitore con il quale non vivono abitualmente, e che hanno così la possibilità di riscoprire alcuni lati del rapporto perduto e condividere con la mamma/papà nuove esperienze. Intanto il genitore con cui il figlio vive seguirà gli eventi da casa attraverso la visione di alcuni filmati, commentando le scene più importanti e chiarendosi il suo punto di vista sulle questioni affrontate. Alla fine del periodo, i figli proporranno al genitore di riunire la famiglia per una cena o qualcosa di simile. E il genitore sarà libera di accettare o meno. Mamma ti presento papà, produzione originale di Wilder per Fox Channels Italy, cercherà di raccontare con colpi di scena e momenti emozionanti la storia di ciascuna famiglia episodio per episodio, i motivi che la univano e quelli che hanno causato la separazione."
Ma io mi chiedo: un bel caravan di fattacci vostri, no?
Da figlia di genitori separati, credo di poter dire che arrivi ad una certa età che smetti di ragionare solo come figlio, e incominci a ragionare da persona. Metti da parte quell'immagine di te bambino che cammini mano nella mano con mamma e papà e cominci a capire cosa voglia dire amare qualcuno, e poi per tutta una serie di motivi smettere di amarlo e volerlo lasciare. Lo capisci perchè lo vivi sulla tua pelle, e se ti chiedessero di andare a cena con il tuo ex ragazzo, per parlare allegramente dei "motivi che vi univano e quelli che hanno causato la vostra separazione", risponderesti "Grazie, ma anche no!".
Bisogna accettare che non sempre le cose vanno come ti dicono che dovrebbero andare, e che non bisogna lavorare sugli altri ma su sè stessi. Perchè ad un certo punto smetterai di essere quel bambino, e sarai il genitore che lo tiene per mano. E sta a te tenere vivi i momenti che ti uniscono alla persona che ami, e affrontare con serenità quelli che potrebbero causare una separazione.
7 aprile 2009
Abruzzo, 6 aprile 2009
Penso a come deve essere svegliarsi nel cuore della notte, con il letto che si sposta da solo in giro per la stanza, con i libri di una vita che ti cadono addosso, con le fotografie che si staccano dalle pareti, con le gambe paralizzate dalla paura e non sapere cosa fare.
Penso a come deve essere trovare la forza di scappare, da una porta, da una finestra, da un balcone, urlando il nome di tua madre, da qualche parte in casa anche lei, cercarla per scappare insieme dalla casa, la tua casa, che ti crolla addosso.
Penso a come deve essere salvarsi, e ritrovarsi in strada, in pigiama, al freddo, nel cuore della notte, insieme a centinaia di sconosciuti, e pensare a tuo fratello che non vive più con te, all'amore della tua vita, ai nonni che già fanno fatica a muoversi anche senza terremoto, agli amici.
Penso alla sensazione di impotenza, di sconforto, di disperazione nel cercare con lo sguardo, tra le macerie, un qualcosa che appartenga alla tua vita di prima, quella di cinque, dieci minuti fa, prima della scossa: un cuscino, un mobile della cucina, un paio di scarpe, un parente.
Dieci minuti fa eri nel letto, sognavi, di sicuro, perchè sogni sempre. Ti sentivi al sicuro, sotto il piumone pesante, anche se è già primavera. Ti sentivi protetta, stretta all'orsetto di quand'eri bambina e senza il quale, a ventisei anni, ancora non riesci a dormire.
Penso a una notte come tante altre che ti cambia la vita, per sempre. E non l'hai scelto, tra tante eventualità possibili, non era nell'elenco. Tra i tuoi piani per il futuro, non era programmato.
Anche se forse...a l'Aquila qualcuno di notte dormiva con uno zaino pronto accanto al letto: un paio di maglie, una coperta, del sapone...Non è normale, non è giusto.
Penso che sta notte farò fatica ad addormentarmi, mentre in silenzio, al buio, penserò a tutti quelli che una notte cosi l'hanno davvero vissuta e non solo pensata, mentre in silenzio, al buio, ringrazio non so bene chi o cosa, per tutto quello che ho.
E' banale, me ne rendo conto, ma è tutto quello che so fare.
Penso a come deve essere trovare la forza di scappare, da una porta, da una finestra, da un balcone, urlando il nome di tua madre, da qualche parte in casa anche lei, cercarla per scappare insieme dalla casa, la tua casa, che ti crolla addosso.
Penso a come deve essere salvarsi, e ritrovarsi in strada, in pigiama, al freddo, nel cuore della notte, insieme a centinaia di sconosciuti, e pensare a tuo fratello che non vive più con te, all'amore della tua vita, ai nonni che già fanno fatica a muoversi anche senza terremoto, agli amici.
Penso alla sensazione di impotenza, di sconforto, di disperazione nel cercare con lo sguardo, tra le macerie, un qualcosa che appartenga alla tua vita di prima, quella di cinque, dieci minuti fa, prima della scossa: un cuscino, un mobile della cucina, un paio di scarpe, un parente.
Dieci minuti fa eri nel letto, sognavi, di sicuro, perchè sogni sempre. Ti sentivi al sicuro, sotto il piumone pesante, anche se è già primavera. Ti sentivi protetta, stretta all'orsetto di quand'eri bambina e senza il quale, a ventisei anni, ancora non riesci a dormire.
Penso a una notte come tante altre che ti cambia la vita, per sempre. E non l'hai scelto, tra tante eventualità possibili, non era nell'elenco. Tra i tuoi piani per il futuro, non era programmato.
Anche se forse...a l'Aquila qualcuno di notte dormiva con uno zaino pronto accanto al letto: un paio di maglie, una coperta, del sapone...Non è normale, non è giusto.
Penso che sta notte farò fatica ad addormentarmi, mentre in silenzio, al buio, penserò a tutti quelli che una notte cosi l'hanno davvero vissuta e non solo pensata, mentre in silenzio, al buio, ringrazio non so bene chi o cosa, per tutto quello che ho.
E' banale, me ne rendo conto, ma è tutto quello che so fare.
25 gennaio 2009
The best is yet to come...
Qualche giorno fa, tramite una foto pubblicata da un mio ex compagno di classe su facebook, ho scoperto Nithya Shanti, un tale che dice di essere stato un monaco buddhista ed aver meditato in una foresta indiana per sei anni, al termine dei quali ha deciso di lasciare quella vita per condividere con il resto del mondo ciò che ha imparato (qui il link al suo sito). Quando leggo queste cose generalmente mi viene automatico storcere il naso e pensare a quanto si faccia pagare costui per i suoi workshop e i suoi incontri. E l'ho fatto anche questa volta. Però ho rubato dal suo sito tutta una serie di piccoli consigli per vivere meglio. Questo tizio sicuramente non dice nulla di nuovo, anzi. Ma è proprio questo che mi ha colpita: mi sono resa conto di come a volte siamo troppo presi dai nostri problemi, dalle piccole negatività che disturbano la nostra quotidianità e che trasformano una bella giornata in un casino. Purtroppo, per carattere, mi capita spesso: annego in un bicchier d'acqua e mi faccio prendere dallo sconforto ed è difficile starmi accanto. Riesco ad essere positiva e a dare buoni consigli quando si tratta degli altri, ma per me stessa è un casino: giri di testa, porte chiuse, muri senza finestre, pensieri, pensieri, pensieri. Alcune persone che conosco superano questi momenti grazie alla loro fede in Dio, altre invece puntano tutto su loro stessi. Io vorrei solo riuscire ad essere un pò più ottimista, e rileggere ogni tanto i consigli di Nithya potrebbe essermi utile:
1. Take a 10-30 minutes walk every day. And while you walk, smile.2. Sit in silence for at least 10 minutes each day.
3. Sleep for 7 hours.
4. Live with the 3 E's -- Energy, Enthusiasm, and Empathy.
5. Play more games.
6. Read more books than you did the previous year.
7. Make time to practice meditation, yoga, and prayer. They provide us with daily fuel for our busy lives.
8. Spend time with people over the age of 70 & under the age of 6.
9. Dream more while you are awake.
10. Eat more foods that grow on trees and plants and eat less food that is manufactured in plants.
11. Drink plenty of water.
12. Try to make at least three people smile each day.
13. Don't waste your precious energy on gossip.
14. Forget issues of the past. Don't remind your partner with his/her mistakes of the past. That will ruin your present happiness.
15. Don't have negative thoughts or things you cannot control. Instead invest your energy in the positive present moment.
16. Realize that life is a school and you are here to learn. Problems are simply part of the curriculum that appear and fade away like algebra class but the lessons you learn will last a lifetime.
17. Eat breakfast like a king, lunch like a prince and dinner like a beggar.
18. Smile and laugh more.
19. Life is too short to waste time hating anyone. Don't hate others.
20. Don't take yourself so seriously. No one else does.
21. You don't have to win every argument. Agree to disagree.
22. Make peace with your past so it won't spoil the present.
23. Don't compare your life to others'. You have no idea what their journey is all about. Don't compare your partner with others.
24. No one is in charge of your happiness except you.
25. Forgive everyone for everything.
26. What other people think of you is none of your business.
27. However good or bad a situation is, it will change.
28. Your job won't take care of you when you are sick. Your friends will. Stay in touch.
29. Get rid of anything that isn't useful, beautiful or joyful.
30. Envy is a waste of time. You already have all you need.
31. The best is yet to come.
32. No matter how you feel, get up, dress up and show up.
33. Do the right thing!
34. Call your family often.
35. Your inner most is always happy. So be happy.
36. Each day give something good to others.
37. Don't over do. Keep your limits.
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